Alla ricerca delle radici perdute

 

La memoria è il nostro diario. 
Da giovani impieghiamo poco tempo a scriverlo, da vecchi molto tempo a leggerlo. 
 
Renato Mancino
Una mattina, mentre ero indaffarato nello svolgimento delle solite faccende burocratiche, entrano nel municipio tre donne. Ad un primo esame mi sembrarono straniere, ma quando mi si rivolsero le scrutai con maggiore attenzione e ne colsi la differenza: erano due americane, madre e figlia, e una giovane interprete italiana…
      La donna anziana mi disse con un lampo di gioia negli occhi: 
I am born in Forenza”.
L’interprete chiarì subito tutto: l’anziana donna era nata a Forenza nel 1920 ed era emigrata negli Stati uniti nel 1926 con tutta la sua famiglia. Arrivavano dal Massachusetts, ed erano in Italia in vacanza; a Potenza erano alloggiate al Grande Albergo e di lì erano partite in auto per Forenza con l’interprete.
      La signora anziana, capelli bianchi ben curati, occhiali con montatura in oro, jeans ed immancabili Nike ai piedi, mi esibì i suoi documenti americani: era Mrs. Phillie Bonomo, dal cognome del marito, secondo il diritto di famiglia americano. Mi indicò su u pezzo di carta il suo nome di nascita: Filomena Iasi figlia di Gerardo. La figlia, di circa 50 anni, bruna, capelli corti, bel tipo, alta e longilinea, impeccabile stile sportivo, si chiamava Donna Mc Arthy, di professione  avvocato. Erano venute fin qui per trovare frammenti delle loro radici.
      Ci recammo in anagrafe e aprii  il registro dell’atto di nascita 1920, cercai all’indice ed eccola lì: Iasi Filomena di Gerardo atto n. 120. Aprii il registro alla pagina indicata e lessi l’atto di nascita, mentre l'interprete traduceva la formula burocratica con cui Iasi Gerardo aveva dichiarato la nascita della figlia all’Ufficiale d’Anagrafe di allora.
      Phillie, dopo alcune esclamazioni di gioia, poggiò la mano su quella vecchia pagina inchiostrata e ingiallita, era emozionata come può capitare a chi trova la traccia principale del suo arrivo sulla terra.
      Rintracciammo anche l’atto di matrimonio dei suoi genitori, gli atti di nascita di due fratelli. Phillie aveva gli occhi lucidi e bisbigliava i suoi pensieri alla figlia. Contemplò a lungo quei fogli: lì vi era segnato il passaggio fondamentale di tutta la sua famiglia, come ritrovata dipinta in un quadro dal lontano passato.
      A quel punto Phillie aprì la sua borsa e, come da uno scrigno, tirò fuori alcune vecchie foto. L’interprete mi spiegò che quelle foto erano state scattate da un fratello del padre, anche egli emigrato in America, che, nel 1943, era giunto in Italia con il Corpo d’Armata americano e durante un congedo era venuto a Forenza.
      Quel giovanottone in uniforme militare sembrava una comparsa autentica dei film di John Wayne e si era fatto ritrarre in alcune pose vicino ai parenti che era riuscito a rintracciare.
      Le foto erano piccole, ma di grande qualità sul piano tecnico. Facce di poveri contadini con segni della fame e degli stenti, lunghe barbe, sdentati, vestiti di stracci rattoppati, cappellacci informi, bambini scalzi, donne ritratte nella loro fatica quotidiana mentre andavano alla fontana a riempire l'acqua o a lavare il bucato con i bambini piccoli nei cesti, case di pietre a secco con pavimenti di terra, piccole, alcune con tetti di paglia. Questo, nel 1943, era il paese da cui Phillie era andata via anni prima. Un paese diverso dal suo nel Massachusetts, dove era cresciuta, aveva vissuto e ora si accingeva a concludere la sua esistenza, eppure....
      Conservava con gelosia quelle foto, mi chiese di rintracciare alcune di quelle case, di quei posti. Andammo nella via indicata sul suo atto di nascita, lì probabilmente avremmo trovato qualcosa. Phillie camminava con lentezza guardando le case, le pietre, i vicoli, mentre frugava nella sua memoria cercando qualche piccolo particolare che potesse aiutarla. Respirava profondamente l'aria che aveva respirato da bambina e si immaginava lì scalza, affamata come quei bambini delle foto, eppure...
      Aveva una foto che la ritraeva all'asilo nel  1925/26. Con altri bambini era stata raccolta in questo asilo che era stato aperto dalle suore nel 1924, in alcuni locali che avevo individuato con facilità.

      Ci recammo in quel luogo e grande fu l'emozione di Phillie nel riconoscere i posti. Filomena era proprio lì seduta in mezzo a quei bambini con la faccia squamata dal freddo che qualcuno, per un sentimento di umana pietà, cercava di difendere dal male di una tragica miseria.
     Phillie, poco tempo dopo, avrebbe cambiato la sua vita, lasciato le strade di terra e sassi, le case con i tetti di paglia, i suoi coetanei scalzi e affamati, quegli uomini con i cappellacci neri e le barbe lunghe; non sarebbe mai andata alle fontane a riempire l'acqua con i barili in testa, né a lavare il bucato con i figli piccoli nel cesto: l'aspettava il Massachusetts, eppure quel  giorno Phillie piangeva.
     Le strinsi la mano e la salutai: “Good luck, Mrs. Bonomo”.                                                                            

Tratto da Il Nibbio, Associazione culturale “Acheruntia”, Acerenza, Ottobre - Novembre - Dicembre 1999.

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