In un mare di fiamme
Testo:  Donato Grano
 
Elaborazione grafica/note a carattere storico: Pasquale Libutti
 

 

 

 

 

 

 
 
 
Index 
 
Il marinaio Donato Grano 
 
 
Arruolato a 15 anni
 
 
Note a carattere storico: 10-11 aprile 1943, al largo di Cagliari
Il marinaio Donato Grano
 
Come tutti, a Rionero in Vulture, conoscevo Donato Grano come un distinto, pacifico e stimato signore, direttore delle Poste ormai in pensione. Non sapevo che durante la guerra era stato radiotelegrafista, imbarcato su navi militari; soprattutto, nemmeno sospettavo che si era arruolato all'età di 15 anni, che a 17 anni la sua nave era stata affondata, e che aveva meritato la croce al merito di guerra. Vicende emerse quasi per caso, grazie all'articolo di un giornale locale. Così, dopo qualche tempo, gli ho chiesto di raccontare la sua storia, che ho avuto il privilegio di ascoltare dalla sua viva voce. Nel raccontare le sue vicende, sbrigativo e cordiale come sempre, Donato Grano quasi torna ad essere il radiotelegrafista di un tempo. E' asciutto e sintetico, riesce a descrivere fatti drammatici con pochissime parole. 
         Quando parla del naufragio, si limita a dire che ha dato il suo giubbotto di salvataggio ad un marinaio ferito, poi si è buttato in un mare in fiamme, perché la nafta uscita dalla nave si era incendiata e circondava la nave; ha trovato un fusto vuoto di benzina, si è aggrappato, si è salvato. Non era finita: portato a riva con gli altri superstiti, si è trovato sotto un bombardamento di aerei alleati. Ferito, scalzo, coi piedi insanguinati, ha dovuto correre per scampare alle bombe che piovevano intorno.
          La sua nave, la Isonzo, affondava il 10 aprile 1943 a pochi chilometri dalla Maddalena: in quelle stesse ore, proprio alla Maddalena, affondava l'incrociatore Trieste, su cui era imbarcato suo cugino Teobaldo Motolese, capo di prima classe (decorato con medaglia d'argento). 
        Successivamente viene imbarcato sull'incrociatore Scipione Africano: equipaggio italiano, con ufficiali inglesi a bordo. Durante una missione la nave procede tranquilla nel Golfo della Sirte e lui, radiotelegrafista, capta più volte strani messaggi cifrati, insiste più volte con il radiotelegrafista inglese perché si rechi in plancia per decifrare i messaggi. Qualcosa non quadra, magari tra italiani e inglesi c'è qualche problema di comprensione. Infine il comandante inglese interpreta meglio uno di questi messaggi, e con l'altoparlante allerta tutto l'equipaggio: era da due ore che la nave navigava in un campo minato, e i messaggi avvisavano del grave pericolo..." Tutto qua.
          Il vecchio marinaio minimizza le sue avventure di guerra, ma non quando parliamo di altri marinai di Rionero, un paese di montagna di gente che non sa nuotare, che pure ha partorito parecchia gente di mare. La sua voce si fa accorata quando mi enumera i nomi di Dante Saldicco, affondato col sommergibile Calvi in Atlantico, di Vernavà, salvato dal naufragio della sua nave dopo venti ore, ma ormai privo della vista, di un altro amico affondato con la corazzata Roma, di Pasquale Ficarazzi e di tanti altri. 
         Talvolta la vita e la morte sono legate ad un filo. Mi racconta come suo fratello Michele Grano, anch'egli marinaio radiotelegrafista ed imbarcato sull'incrociatore ausiliario Barletta, si salvò solo per caso. I due fratelli si ritrovarono insieme per una licenza breve, e da Taranto si diressero, via ferrovia, verso Rionero. Era l'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio... Tempo dopo, dopo varie vicissitudini, Michele Grano si presentò al porto di Bari per imbarcarsi sulla sua nave: si sentì dire che la nave era affondata con gran parte dell'equipaggio in un terribile bombardamento del porto, in cui i tedeschi avevano colpito diverse navi alleate cariche di esplosivi, nafta, materiale bellico tra cui una che trasportava un centinaio di tonnellate di armi chimiche (Nota).
          Donato Grano si dilunga soprattutto su un altro episodio: l'incontro rocambolesco ad Algeri con un compaesano prigioniero di guerra, Donato Lapadula, a bordo dell'incrociatore Scipione Africano. Noto pure che lo stesso episodio occupa quasi metà di una sua lettera inviata al Comandante dell'Ufficio Storico della Marina, di cui segue uno stralcio. Eppure non è una vicenda militare, tra le tante che il decorato Donato Grano poteva citare; si tratta solo di un semplice incontro casuale, un fatto di uomini e di amicizia, in tutto l'orrore della guerra. Poi rifletto: è tutta qua la questione. Chi davvero ha vissuto quegli anni drammatici e lontani non può essere un guerrafondaio. Magari è anche un eroe, ma resta soprattutto un uomo. 
 
 

 

Nota: Il bombardamento del porto di Bari, per gli alleati, è conosciuto come la Pearl Harbor italiana. Il 2 dicembre 1943 i tedeschi affondarono 17 navi da carico danneggiandone altre 7: oltre 100.000 tonnellate di naviglio. Le navi erano cariche di circa 40.000 tonnellate di materiali, esplosivi, carburante; una di esse trasportava un carico segreto che nemmeno il suo comandante conosceva: 100 tonnellate di armi chimiche (iprite), che contribuirono ad accrescere il disastro. I marinai delle navi colpite si erano tuffati in un mare coperto da una coltre di nafta uscita dalle petroliere mista ad iprite; nei giorni seguenti molti morirono negli ospedali senza che si sapesse come curare le loro strane ustioni. La città si salvò dalla nube di gas tossico solo perché il vento, quella sera, spirava verso il mare aperto. Oltre 1.000 furono i morti, 800 i feriti, centinaia gli intossicati dall'iprite. Si trattò dell'unico "incidente" associato ad armi chimiche avvenuto durante la seconda guerra mondiale; il disastro venne tenuto segreto il più possibile dalle autorità. 

Arruolato a 15 anni

 

Sono l'ex sergente R.T.(radiotelegrafista) Grano Donato, matricola 67465, nato a Rionero in Vulture (PZ) il 17 settembre 1925. Mi sono arruolato in Marina il 14 luglio 1041, in qualità di allievo R.T: alla giovanissima età di anni 15, mesi nove e giorni 27, coronando il mio sogno lungamente accarezzato. Dal 26 luglio 1941 al 14 giugno 1942 ho frequentato il corso di allievo R.T. presso Mariscuole di Forte dei Marmi; successivamente sono stato destinato al Centro Radio di Pola, fino al 24 novembre 1942. Il giorno 25 novembre 1942 sono stato imbarcato sulla nave ISONZO.

 

Regia Cisterna "Isonzo"
 
Nave cisterna della Regia Marina (3.820 tls), completata nel 1937. Era armata di due cannoni da 102 mm e 4 mitragliere da 13,2 mm.

 

Il giorno 10 aprile 1943, in uno dei consueti viaggi di perlustrazione e di trasporto, verso le ore 18.30 l’ISONZO veniva gravemente colpita da due siluri lanciati da un sottomarino inglese. Nonostante la estrema gravità della situazione (la nave poteva affondare da un momento all'altro), l'indescrivibile stato di confusione e le scene di comprensibile panico, riuscii a mantenere il sangue freddo e tutta la calma che la giovanissima mia età mi consentiva (avevo appena 17 anni e mezzo). 

Ricordo perfettamente: lanciai dapprima l’S.O.S,,senza esitazione alcuna, assicurai i "cifrati" nell'apposita cassetta di metallo forata lanciandola a mare onde evitare che il nemico potesse venirne in possesso. Notai nei pressi della cabina radio il marò Izzi Giuseppe gravemente ferito e con gli arti inferiori immobilizzati; gli diedi il mio salvagente e con l’aiuto del sottocapo furiere di nome Malavasi lo abbiamo lanciato in mare prima che la nave affondasse; intanto l’ISONZO affondava; s’inabissava lentamente, ma inesorabilmente;1a scena che si presentò ai miei occhi era allucinante....... terrificante; corpi di tanti compagni morti e lamenti di feriti galleggianti in mezzo al mare in tempesta che tentavano disperatamente di aggrapparsi ai tanti oggetti vaganti di ogni genere. Gli ultimi ad abbandonare la nave e a lanciarsi in mare fummo io ed il Comandante, Capitano di Vascello Mario Patalano; abbiamo assistito con la morte nel cuore al triste destino della nave che s’inabissava lentamente in un cerchio di fuoco della nafta che bruciava. Ricordo e rivedo ancora il richiamato comandante Mario Patalano, il capitano di corvetta Gasparrotti e il tenente di Vascello Antonino Toscano: il loro ricordo e dei miei compagni morti rimarrà sempre profondamente vivo nel mio cuore.Il mare era in tempesta; per molto tempo noi naufraghi rimanemmo in balia delle onde (eravamo nei pressi di Punta Stella, Sardegna) e la nostra unica arma era la preghiera; sperando che qualche nave di passaggio venisse a salvarci.

Di lì a poco, il Signore nella sua infinita misericordia esaudiva le nostre preghiere; un dragamine che transitava in quelle acque (forse aveva raccolto il mio S.O.S.) ci ha raccolti e rifocillati; portandoci poi alla base di Maridist Cagliari; riequipaggiati fummo gratificati di una "licenza premio" ed assegnati alle nuove destinazioni.

Fui assegnato a Maridepo Taranto a tutto il 31 maggio 1943; indi alle sedi del centro radio di San Giorgio Ionico e Maridife I° R.A.M. di Taranto fino al 4 gennaio 1945. 

Dal giorno successivo 5 gennaio 1945 a tutto il 24 giugno 1947 rimasi imbarcato sull’incrociatore SCIPIONE AFRICANO. L’equipaggio era composto esclusivamente di marinai e ufficiali italiani, mentre tutti i comandanti erano ufficiali inglesi; in tale periodo abbiamo partecipato, con alterne vicende, a diverse operazioni di guerra contro i tedeschi. L’incrociatore SCIPIONE AFRICANO era altresì adibito al trasporto di truppe inglesi dalle basi ai Taranto - Napoli a quelle inglesi di Alessandria d’Egitto, Porto Said, Orano, Algeri, Philippeville, Malta, ecc.

 

 

Incrociatore leggero "SCIPIONE AFRICANO" 
 
Appartenente alla classe Capitani Romani, insieme all'Attilio Regolo e al Pompeo Magno. Impostato nel 1939 presso il Cantiere OTO di Livorno, varato nel 1941, completato ed entrato in servizio nel 1943. Sotto comando alleato fino al 1945, venne ceduto alla Francia in riparazione ai danni di guerra. Ribattezzato dai francesi Guichen, fu radiato nel 1962. 
Dislocamento: 5.035 t, stazza lorda 5420 tsl, lunghezza 142,2 m, larghezza 14,4 m. Velocità massima 40 nodi, equipaggio 418 uomini, 8 cannoni da 135/45,  8 cannoni da 37/54, 8 mitragliere da 20/65, 8  lanciasiluri da 533. 

 

In uno di questi viaggi fui testimone di un fatto che ha dell’incredibile. Nel 1945 - si era ancora in piena guerra contro i tedeschi - ci trovavamo ad Algeri che allora era una importante base navale occupata dagli inglesi; l’incrociatore SCIPIONE AFRICANO era attraccato al molo in attesa di rifornimento per effettuare un trasporto per l’Italia di truppe inglesi e materiale bellico. 

Ad un centinaio di metri dal molo erano concentrate diverse centinaia di prigionieri italiani e tedeschi che indossavano una tuta con una vistosa "P" impressa sul retro della tuta che stava ad indicare il loro stato di prigioniero di guerra.

All’improvviso un prigioniero si staccò dal gruppo ed eludendo la stretta vigilanza delle sentinelle inglesi, con uno scatto fulmineo raggiunse la passerella della nave sul cui pennone sventolava bene in vista la bandiera Italiana, e in pochissimi attimi fu a bordo.Venne accolto con entusiasmo da tutto l’equipaggio per il coraggio dimostrato; gli fu fatta indossare subito al posto della tuta, la divisa di marinaio di bordo onde evitare di essere scoperto in caso di una eventuale ispezione da parte inglese; fortunatamente non ci furono ispezioni.

Durante la navigazione di ritorno alla base di Napoli notai che l’ex prigioniero si esprimeva in una forma dialettale molto simile al dialetto del mio paese; incuriosito gli chiesi di dove fosse e, con grande sorpresa ed emozione, seppi che era un mio compaesano; era infatti di Rionero in Vulture, provincia di Potenza. 

Fu un caso, la fortuna, o che so io; certo che fra tante centinaia di prigionieri, la sorte aveva scelto proprio me per quell’incontro davvero inatteso, ma gradito. 

G1i espressi il mio stupore e la felicità; fra tante sventure, tanta solitudine e lontananza dagli affetti cari, finalmente la voce amica di un compaesano; la sua meraviglia ed emozione fu pari alla mia; in un impeto di irrefrenabile gioia ci abbracciammo versando lacrime di vera commozione.

Il suo nome era Lapadula Donato, classe I9I5; la sua attività era quella di pastore e possedeva un gruppo di pecore e una masseria in contrada Cupero. Questi sentimenti palpitavano nel cuore di Donato; la vista di una nave italiana, lì a poche decine di metri, pronta a salpare per l’Italia, lo galvanizzò; il cuore impazzito gli batteva tumultuosamente; fu un attimo terribile e solenne; una forza sovrumana, quasi misteriosa lo spinse al folle gesto di tentare coraggiosamente e disperatamente la fuga; la fortuna gli fu propizia e il suo amore, il suo coraggio furono ripagati in pieno con l’avveramento del suo sogno; la LIBERTÀ. 

A Napoli venne sbarcato e lasciato libero di raggiungere la sua Rionero; ci scambiammo abbracci e la promessa di una tenace e forte amicizia che ci ha accompagnati per ben oltre 40 anni. 

Dopo la sua morte avvenuta anni addietro l’amicizia continua con il figlio Luigi che é un valente e fantasioso artigiano di oggetti in ottone, con un ben allestito laboratorio ubicato sulla via di Monticchio.

Per la mia partecipazione alle suddette operazioni di guerra sono stato insignito in forma solenne della croce al merito di guerra I^ concessione 3° ciclo; delle campagne di guerra per gli anni 42-43-44-45 e dell’attestato per la partecipazione alla guerra di Liberazione. Fruisco inoltre,quale invalido di guerra, di pensione ai 8^ categoria.

Ritengo, senza voler peccare di presunzione,che potrei essere annoverato tra i più giovani combattenti della gloriosa marina ed invalidi di guerra del conflitto mondiale 40/45.

 

Rionero in Vulture (PZ), 3 settembre 2002      Donato Grano

grano o.jpg (4378 byte)

         

           Note a carattere storico:  

10 - 11 aprile 1943, al largo di Cagliari

      

Pomeriggio del 10 aprile 1943: la nave Isonzo salpa verso la Maddalena con il piroscafo Entella, cargo di 2.691 tls che trasporta 3500 tonnellate di carbone. La scorta è costituita dal dragamine RD 29 e, soprattutto, dal Loredan, motonave di 1.356 tls requisita dalla Regia Marina e adibita come incrociatore ausiliario. Il Loredan è dotato di 2 cannoni da 120 mm, 4 mitragliere antiaeree, bombe di profondità, e fino a quel momento ha effettuato 193 missioni di scorta ai convogli.
Con il Loredan che precede avanti,  le quattro unità navigano a breve distanza dalla costa, tenendola sul loro fianco sinistro. L'attenzione delle vedette è rivolta soprattutto a destra, verso il mare aperto; è la direzione da cui si teme l'attacco di un sottomarino. Anche il dragamine RD 29 procede all'esterno della formazione, a protezione del fianco scoperto. 
Nei giorni precedenti, il 3 aprile, un sommergibile inglese aveva affondato a cannonate nel Golfo di Orosei  il motoveliero Nasello, riconvertito a nave ausiliaria dalla Regia Marina, e poco dopo il peschereccio San Francesco da Paola. Il 6 aprile lo stesso sommergibile aveva lanciato tre siluri contro il cargo Cap Figalo presso Cagliari, ritenendo di non averlo colpito (in realtà due siluri erano andati a segno, ma la nave era riuscita a rientrare in porto); il 9 aprile aveva colato a picco col cannone la nave ausiliaria posamine No. 295 / Bella Italia, al largo di Capo Carbonara. 
Alle operazioni di scorta partecipa pure il Mas 507, che precede il convoglio per effettuare un rilevamento idrofonico, al fine di captare la presenza di sommergibili nemici; però l'ascolto idrofonico è disturbato dal passaggio del motoveliero Idria, della vigilanza costiera, e resta senza esito. Neppure il Mas 510, che incrocia la rotta del convoglio provenendo dalla Maddalena, rileva qualcosa di anomalo. Era prevista anche una ricognizione aerea preventiva, ma l'aereo è dovuto atterrare per noie al motore. Anche la scorta aerea antisommergibile è saltata: l'idrovolante non riesce a decollare per un problema tecnico. Per colmo di sfortuna, non ci sono altri aerei disponibili:  il 5 aprile ben quattro idrovolanti usciti in missione non avevano fatto ritorno alla base. 
Presso Torre Finocchio (Torre delle Stelle) il convoglio incrocia il dragamine RD 41, che procede poco più al largo. 
Alle 18,25 la vedetta del RD 41 avvista le scie di un ventaglio di siluri e lancia l'allarme. Immediatamente l'RD 41, l'RD 29 ed il Mas 507 convergono a tutta forza verso il punto di origine delle scie. Ma è troppo tardi.
Il Loredan, colpito sulla fiancata destra, si inabissa all'istante trascinandosi dietro quasi tutto l'equipaggio. 
L'Isonzo incassa due siluri: il primo, a poppa, che gli asporta l'elica e il timone, il secondo sotto la plancia di comando. Affonda di poppa nel giro di 20-25 minuti, dando tempo ai marinai di tuffarsi nel mare ricoperto di nafta in fiamme: risultano 4 morti e 18 dispersi. L'Entella, invece, con una brusca accostata ha evitato i siluri, ma la manovra la porta ad incagliarsi in un bassofondo. Dopo il lancio dei siluri il sommergibile si è immerso, senza attardarsi a controllare se ha colpito qualcuno dei bersagli; la manovra però lo porta ad incastrarsi sul fondale. L'indicatore di profondità segna 72 metri e le manovre per disincagliarlo non hanno successo, mentre le navi italiane scaricano nell'area bombe di profondità. 

Dal canto loro, gli italiani avvistano chiazze di nafta in superficie; arriva anche un aereo, che sgancia il suo carico sulle chiazze. A due ore dall'attacco il Mas 507 comunica alla base l'affondamento del sommergibile. Il naviglio di scorta e la nave Idria recuperano i naufraghi, che sono più tardi avviati verso Cagliari su autocarri, giusto in tempo per incappare in un violento bombardamento di aerei alleati. 
Ma il sommergibile non è distrutto. L'equipaggio inglese, intrappolato sul fondo, ha rischiato di rimanere asfissiato. Cinque ore dopo l'attacco il sottomarino si disincaglia e risale a quota periscopio, avvistando l'Entella arenata.
Il mattino dopo, mentre si procede a disincagliarla, l'Entella è colpita da due siluri, esplode e si inabissa in un fondale di circa 20 metri; l'equipaggio, in gran parte, si salva. Navi e aerei italiani danno la caccia al sommergibile e, come il giorno prima, l'avvistamento di macchie di nafta in superficie fa ritenere che le bombe di profondità siano andate a segno. 
I nostri comandi stimano che l'operazione sia stata condotta da almeno due sommergibili, entrambi poi colpiti dalle navi di scorta. 
A guerra finita si viene a sapere che la distruzione dell'intero convoglio, al pari degli affondamenti dei giorni precedenti, sono opera di un solo sommergibile inglese: l'HMS Safari, del comandante Ben Bryant. Salpato da Algeri il 27 marzo 1943, al largo della Sardegna il Safari ha affondato 6 navi fino all'11 aprile. Nelle sue missioni nel Mediterraneo il Safari affonda oltre 30 navi e ne danneggia altre 7 e, a differenza delle sue vittime, sopravvive alla guerra.
I relitti delle navi Loredan e Isonzo giacciono ad una profondità tra i 45 e 65 metri al largo di Torre delle Stelle; i resti dell'Entella sono a circa 20 metri. Nel 1990 alcuni sub ritrovano i relitti e li identificano, riportando in superficie una targa dell'Isonzo
Da allora i relitti sono diventati una meta per le immersioni. Solo i sub, adesso, possono avvicinarsi a quanto resta delle navi,  unici loro custodi.
HMS Safari
La Regia Nave Isonzo oggi, vista da prua.
Regia Nave Isonzo, osteriggi e maniche a vento.
Regia Nave Isonzo, cannone da 102 mm.
Bibliografia
La ricostruzione del siluramento delle navi italiane avvenuto al largo di Torre delle Stelle (Torre Finocchio) è effettuata con grande accuratezza storica dall'Associazione Gravitazero  
        www.gravitazero.org  (voce  Loredan Isonzo Entella)
a cui si fa riferimento per la consultazione, e che si contraddistingue inoltre per l'estrema sensibilità verso gli uomini che furono protagonisti e vittime della vicenda. Si ringrazia, per la cortese collaborazione e per aver messo a disposizione le immagini a corredo del presente sito, Elena Romano e Claudio Provenzani.
Si veda pure, sull'argomento:
C. Corti, La tragedia del Loredan, (articolo pubblicato su Sub  n. 117, aprile 2000) in www.tsaeurope.com
http://www.sportesport.it direttiva di ricerca: wrecks – sardegna – cagliari – loredan.
Circa il sommergibile Safari: http://en.wikipedia.org (voce HMS Safari) per quanto riguarda i dati tecnico costruttivi e gli affondamenti.
Altri dati, cronologicamente indicati, circa il ciclo operativo del sommergibile Safari in http://uboat.net/allies/warships/ship/3430.html
Clemente Carlucci, Affondati da due siluri degli inglesi, su Il Quotidiano (2006).
Sull'incrociatore Scipione Africano: http://it.wikipedia.org./wiki/Scipione_Africano
La foto della nave Isonzo  proviene dall'Archivio dell' Ufficio Storico della Marina Militare. La foto dello Scipione Africano, conservata da Donato Grano, è stata donata all'Ufficio Storico della Marina Militare. 
   
Elaborazione grafica/note a carattere storico: Pasquale Libutti 
 
        Home