Distruggete l'Acquedotto Pugliese

Ricerca storica e reportage: Giovanni Marino e Pasquale Libutti

 

 
     
 
Alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, un distinto signore inglese raggiunge una località sperduta al confine tra Campania e Basilicata. E’ un tratto di campagna tra i comuni di Rapone, Pescopagano e Calitri. Gli abitanti delle fattorie vicine lo ricordano ancora mentre imbocca il tratturo fangoso che conduce, dopo duecento metri, fino al ponte Tragino, uno dei tanti ponti-canali del canale principale dell’Acquedotto Pugliese.
E’ esattamente quello il luogo che il visitatore inglese cercava, ed è la seconda volta che lo visita. L’uomo trascorre molto tempo a passeggiare su e giù lungo il ponte, meditando sui fatti che proprio in quel luogo sono accaduti, al tempo in cui era un ufficiale britannico dei paracadutisti mandato a distruggere il ponte.
 
 

 

Operation Colossus
 
Il 1940 è il momento più buio della guerra per l’Inghilterra, che ritiene imminente l’invasione tedesca.
Allo scopo di alleggerire la pressione nemica, Churchill impartisce istruzioni per “portare la guerra oltre le linee avversarie”. D’altro canto, le recenti azioni dei paracadutisti tedeschi hanno dimostrato al mondo l’utilità dei corpi aviotrasportati. Gli inglesi, alla fine del 1940, qualificano così 500 Commandos come paracadutisti: sono i primi uomini dei futuri 15 battaglioni aviotrasportati costituiti durante la guerra.
La prima incursione "sperimentale” dei paracadutisti inglesi avviene nel 1941 in Italia meridionale, col nome in codice di Operation Colossus. Il Colosso sarebbe il canale principale dell’Acquedotto Pugliese, che rifornisce d’acqua la Puglia, con i porti e le installazioni militari di Bari, Brindisi e Taranto, quest’ultima base principale della Marina italiana.
L’obiettivo è di interrompere le forniture idriche ad alcuni milioni di abitanti, in una vasta zona d’Italia che, in quel momento, è base di imbarco e rifornimento per le truppe destinate al fronte greco-albanese. In tal modo gli inglesi vogliono dimostrare di poter colpire nel modo più inatteso, a migliaia di miglia dai loro confini, demoralizzando e allarmando la popolazione e i militari italiani.
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    X Troops
     
    In questa missione le speranze di sopravvivere all’incursione, o di sfuggire alla prigionia, sono "esili" secondo la definizione dei comandi inglesi. Si ricorre così solo ai volontari: 7 ufficiali e 31 uomini del Commando N° 2 delle Special Service Troops (Nota 1), denominati X Troops.
    Gli uomini, al comando del Maggiore T.A.G. Pritchard, vengono addestrati per sei settimane. Il 9 febbraio 1941 il gruppo si trasferisce in volo fino a Malta; nella notte tra il 10 e l’11 sale a bordo di alcuni aerei Withley. Due degli aerei partiti da Malta sono destinati ad effettuare una azione diversiva, sganciando bombe su Foggia (colpendo, a quanto pare, gli scali ferroviari di San Severo e Rocchetta S. Antonio).
    Altri sei aerei, con i paracadutisti e il loro equipaggiamento, deviano verso il corso del fiume Ofanto fino alla zona di lancio, nei pressi dell’obiettivo: il ponte-canale Tragino, lungo circa 100 metri.
    Gli aerei giungono sull’obiettivo a 400 piedi, quota comunque sufficiente a permettere l’apertura dei paracadute.
    Alcuni bambini delle fattorie vicine si accorgono che avviene qualcosa di strano, subito richiamati al riparo dagli adulti.
    Il lancio ha successo: solo uno degli uomini, atterrato a circa metà strada tra la valle dell’Ofanto e l’obiettivo, si infortuna alle gambe. I britannici, presentandosi come paracadutisti tedeschi in addestramento, si impossessano delle poche case situate nei pressi del ponte; gli abitanti, molto spaventati, vengono tutti rinchiusi in una casupola.
    Uno degli aerei, tuttavia, è in ritardo ed effettua il lancio sulla sponda opposta del fiume Ofanto, a qualche chilometro dalla zona programmata.
    Alcuni uomini prendono terra così nelle campagne di Monticchio Bagni (frazione del comune di Rionero); tra di loro vi è  anche l’esperto di demolizioni. Questi uomini non riusciranno più a ricongiungersi al gruppo principale.
    Mancano all’appello, inoltre, anche diversi contenitori di esplosivo. Il maggiore Pritchard dovrà arrangiarsi soltanto con circa un terzo dei 1000 kg di esplosivo programmati.
    Un’altra brutta sorpresa per i sabotatori è che il ponte è costruito in solido cemento e non in mattoni, come ci si aspettava. Ad ogni modo, il maggiore Pritchard ordina di minare il ponte Tragino e l’altro vicino ponte-canale sul torrente Ginestra, lungo 65 metri.
     
       
    L'area di lancio vista dal ponte Tragino e veduta aerea attuale dell'obiettivo (in bianco, confine tra Campania e Basilicata)
     
     
     
    La cattura
     
    Alle 12,30  del mattino seguente, 11 febbraio 1941, due esplosioni segnano il successo della missione.
    Adesso i paracadutisti si dividono in tre gruppi dirigendosi verso la costa, attraversando missioni ostili e braccati da milizie locali. Punto di incontro, la foce del fiume Sele, dove dovrebbe attenderli il sommergibile britannico Triumph nelle notti del 16 e del 18 febbraio.
    Intanto i Carabinieri e la milizia, coinvolgendo la popolazione, hanno dato inizio ad un vasto rastrellamento. Nella mattina del 12 febbraio, presso Teora (AV) il gruppo del maggiore Pritchard si arrende a tre civili italiani, armati solo di un fucile da caccia, un’accetta e una roncola. Poco dopo anche il gruppo del capitano Lea si arrende. Il sottotenente Jowett e i suoi uomini sono catturati il giorno 13 dopo uno scontro a fuoco con carabinieri e civili, dove perdono la vita due civili italiani. Il gruppo paracadutato per errore presso Monticchio Bagni si arrende il 15 febbraio, a soli 30 Km dalla foce del Sele.
    Tutti gli incursori sono catturati. Una fuga comunque destinata a fallire: i paracadutisti non avrebbero trovato il sommergibile ad attenderli. Uno degli aerei che hanno bombardato la zona di Foggia ha avuto un guasto ed il pilota ha comunicato via radio che avrebbe tentato l’ammaraggio di fortuna alla foce del fiume Sele. Temendo che la comunicazione sia stata intercettata, il comando inglese ha già cancellato la missione di recupero del Triumph.
    I prigionieri, cosi, sono avviati verso i campi di prigionia (Nota 2).
     
     
     
     
    Consuntivo dell'azione: danni materiali...
     
    Da alcune foto aeree scattate dopo l’azione il ponte Tragino appare con una sezione crollata, il Ponte Ginestra apparentemente intatto. Probabilmente, il ponte-canale Ginestra non crolla, ma la condotta idrica viene sfondata dall’esplosione. A conferma di ciò, gli abitanti del luogo raccontano ancora oggi che dopo l’esplosione un torrente d’acqua si riversò nelle case in cui erano stati rinchiusi i civili italiani prigionieri, invadendone i locali: doveva essere l’acqua che fuoriusciva dal ponte-canale Ginestra, collocato proprio a monte delle case.
    In termini materiali, tuttavia, l’Operation Colossus riporta scarsi effetti.
    La riparazione del ponte Tragino viene effettuata a tempo di record ad opera di pochi ma esperti tecnici civili dell’Acquedotto Pugliese, che riallacciano le tubazioni distrutte prima che le riserve d’acqua si esauriscano.
    E’ vero che i sabotatori non si aspettavano, stando ai resoconti, di trovare un ponte in cemento, e che parte degli esplosivi era andata dispersa: ma è proprio la scelta dell’obiettivo che non convince. In effetti il ponte Tragino, pur con i suoi 101,80 metri di lunghezza, scavalca il torrente omonimo con dei piloni di altezza modesta. Si presenta perciò come facilmente riparabile, e non si capisce perché i comandi inglesi lo abbiano scelto come obiettivo. Pochi chilometri più avanti, in una zona altrettanto isolata, ben altro danno avrebbero inflitto gli incursori sabotando il ponte Bradano (lungo 210,05 m e, soprattutto, di altezza notevole) o anche il ponte sulla Fiumara di Atella, il più lungo del tratto appenninico con i suoi 417,15 m.
    Pare che l’obiettivo sia stato indicato (in modo alquanto impreciso) da una ditta inglese che aveva partecipato alla costruzione del ponte Tragino: se così è, i comandi inglesi hanno tralasciato di esaminare varie pubblicazioni tecniche disponibili in lingua inglese. La costruzione dell’Acquedotto Pugliese aveva destinato all’epoca grande interesse, ed in Inghilterra era stata oggetto di studi che descrivevano dettagliatamente le soluzioni tecniche adottate: proprio il ponte Tragino, tra l'altro, era descritto ed illustrato con tavole di progetto e dati tecnici quale esempio di un tipico ponte in cemento dell’Acquedotto Pugliese, e confrontato con lo svettante ponte-canale sul Bradano (Nota 3).
     
     
              
    Ponte Tragino: altezza dei piloni dal terreno e confronto con ponte Bradano

     
     
       .. riparazioni
     
    Ad ogni modo, riparati i danni in brevissimo tempo e scampato il pericolo, naturalmente l’Italietta fascista non manca di dare prova della  propria essenza.
    Antonio Motolese, figlio di uno dei pochi tecnici civili che riallacciarono le tubature, ricorda che presso il ponte-canale Tragino, nei giorni seguenti, affluiscono centinaia di militari inviati da Bari per le riparazioni definitive; successivamente, le autorità organizzano una premiazione di tutti coloro che si sono distinti nelle operazioni di riparazione. In una pomposa cerimonia vengono distribuite onorificenze e nastrini ad innumerevoli personaggi, tranne che a quel pugno di tecnici che, per primi, hanno davvero ripristinato la fornitura di acqua.
    In seguito, di fronte alle rimostranze di questi ultimi, con un certo imbarazzo le autorità offrono ricompense anche a loro.
    A questo punto, tuttavia, i tecnici rifiutano con sdegno questi tardivi ed inflazionati riconoscimenti.
     
     
    ... e danni psicologici
    Da parte britannica, a consuntivo, il raid viene valutato come una azione di deludente risultato strategico, utile più che altro ad acquisire esperienza. Al momento i comandi inglesi ne sottovalutano i risultati. Tuttavia, anche se l’obiettivo di lasciare senza acqua tutta la Puglia non è stato raggiunto, l’azione ha comunque sortito notevoli conseguenze indirette, rivalutate dalle analisi retrospettive di storici ed esperti militari.
     
    “L’attacco all’acquedotto del Tragino in Italia il 10 febbraio 1942, da parte di un piccolo gruppo di paracadutisti, causò un danno materiale ed un intralcio minimo. Nondimeno, esso ebbe notevoli conseguenze indirette. Gli italiani erano stati così spaventati da questa azione da dirottare, immediatamente dopo, notevoli risorse umane e materiali per la protezione di ogni punto vitale del paese.”
    (Col. Berndt Horn, The Devil’s playground – The Airborne battlefield in WWII, Canadian Army Journal, 7.3/7,4 fall/winter 2004.)
     
    Di fronte alla minaccia che piccoli gruppi di paracadutisti compiano azioni simili, minacciando qualsiasi punto nevralgico del territorio, i comandi italiani dirottano uomini e risorse che sarebbero ben più utili al fronte: occorre munire di sentinelle tutti quelli che oggi definiremmo "obiettivi sensibili". Per quanto riguarda l’Acquedotto, i ponti più importanti sono sottoposti a vigilanza e camuffati con ingombranti coperture mimetiche (fino ad alcuni anni fa, presso il ponte sulla Fiumara di Atella, erano ancora visibili i cavi di acciaio che reggevano tali coperture).
    Sul piano psicologico la situazione è disastrosa. Si pensava di colpire il morale delle popolazioni interrompendo le forniture d’acqua: obiettivo fallito, perché l’acqua non è venuta meno. Però il crollo dello sperduto ponte Tragino, che si aggiunge alle quotidiane sconfitte del nostro esercito, ha spaventato l’imbelle ed arrogante classe dirigente che, solo pochi mesi prima, ha scaraventato il paese in guerra. Tutto l'apparato di gerarchetti e profittatori di regime, spaventatissimo, sopravvaluta ed ingigantisce l'azione dimostrativa degli inglesi, che hanno dimostrato di saper mettere piede in Italia...
    Una pagina di quei giorni del diario di Ardengo Soffici, pittore futurista ben introdotto nei circoli della capitale, mostra il grado di approssimazione e la miseria morale del regime:

     

    “Sono stato a Roma, dove ho trovato un inferno di carogneria e di disfattismo … pochi osano per ora esprimere la loro sfiducia nella vittoria, ma molti ne dubitano… notizie infami sui nostri soldati, sui nostri generali, su tutti quelli che sono in ballo, circolano per Roma… Si dice che i paracadutisti discesi in Calabria e in Puglia fossero italiani: quattro pratesi; che hanno distrutto una parte dell’acquedotto, e che diciotto di essi non sono stati ancora presi. I presi (italiani) sono stati fucilati”.
    (citato da Alessandro Affortunati, “Di morire non mi importa gran cosa” - Fortunato Picchi e l’Operazione “Colossus”, Comune di Carmignano – Pentalinea, Prato, 2004.)

     

             

     

    LITTLE FORTUNE : Fortunato Picchi, antifascista

     
    Chi sarebbero questi paracadutisti italiani, tra cui ben quattro pratesi che si sono paracadutati in Calabria e Puglia”, di cui ""diciotto non ancora catturati?"
    La verità è che tra gli inglesi catturati c’è davvero un italiano. Tra i prigionieri balza subito all’occhio: ha 44 anni. Interrogato, dapprima dice di essere un francese, Pierre Dupont, poi dichiara la sua vera identità. Si chiama Fortunato Picchi, è un toscano emigrato da anni in Inghilterra, dove vive agiatamente. Imbarcato prima come cameriere sul lussuoso piroscafo Majestic, è diventato poi vicedirettore del reparto banchetti del prestigioso Hotel Savoy di Londra, dove tutti lo conoscono come Little Fortune. A differenza della maggior parte dei compatrioti all’estero, non ha mai mostrato simpatie per il fascismo, né ha aderito a sezioni del fascio aperte dagli italiani in Inghilterra, all’epoca ben tollerate dalle autorità britanniche. Alla base di questa posizione non vi è l’appartenenza ad alcun partito politico: un rapporto del SOE - Special Operations Executives” definisce Picchi “un idealista, che non ha a che fare con la politica, che per molti aspetti è più inglese degli inglesi”. Allo scoppio della guerra è stato internato, ma non è stato inviato in Canada come altri italiani. Chiarita la sua posizione, avrebbe potuto tornarsene a casa ad attendere la fine della guerra: invece il mite e cortese capocameriere del Savoy, all’età di ben 44 anni, ha preferito arruolarsi nei corpi speciali.
    A chi lo interroga Picchi specifica di non ritenersi un traditore dell’Italia: lui vuole combattere il regime fascista. Gli italiani devono svegliarsi e combattere Mussolini: così ha fatto lui, pur sapendo che, se catturato con la divisa inglese addosso, lo aspetta immancabilmente il plotone di esecuzione.
    E’ il 1941, e la vicenda di questo italiano, che volontariamente decide di andare incontro a morte certa pur di combattere il fascismo, è un caso inquietante per le autorità. Solo un mese dopo la sua cattura, vengono diramati precisi ordini a tutti i comandi locali delle forze dell’ordine nel caso di "prigionieri di guerra catturati sul suolo metropolitano":
     
    “Pregasi impartire disposizioni ai Comandi dipendenti perché nella eventualità di cattura, da parte di elementi della Milizia, di prigionieri di guerra sul suolo metropolitano, i catturati si astengano da ogni interrogatorio a meno che esso sia necessario in relazione al fatto specifico della materiale cattura, nel qual caso le domande dovranno essere limitate esclusivamente a tale fine. I prigionieri dovranno essere subito consegnati all’arma locale o viciniore che provvederà alla immediata loro traduzione al Comando della Difesa Territoriale di Roma cui  compete farli interrogare da apposita Commissione, custodirli e trasferirli ai campi di concentramento.”
    Tratto dalla Circolare 10 marzo 1941 XIX – n. 298, Comando Generale della M.V.S.N. – Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (Servizio Politico).
     
    L’ordine si commenta da sé. Da uno strafalcione del testo, redatto nel solito stile militar-burocratico, traspare la ragione della circolare, la quale ordina che i catturati laddove, al limite, il riferimento andrebbe ai catturatori – si astengano da ogni interrogatorio”. Il regime ha paura che gli italiani scoprano che esistono uomini come Picchi, paura di ciò che essi possano comunicare a coloro che li catturano, li scortano, li sorvegliano, e su tutte le coscienze addormentate da venti anni di censura di regime. Condotto a Roma, Fortunato Picchi viene condannato a morte dal TSDS (Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato) il 5 aprile 1941 e fucilato a Forte Bravetta il 6 aprile 1941, Domenica delle Palme (Nota 4). Il luogo della sepoltura non sarà mai identificato. Il quotidiano inglese Time del 28 aprile 1941 dedica alcune righe a “Little Fortune”, che ha sacrificato la sua vita per la causa della libertà. Un uomo coraggioso, di alti ideali”.
     
     
     
     
    L'ultima lettera
     
    Il giorno stesso della fucilazione Picchi scrive alla madre la sua ultima lettera.
     
    “Mi dispiace cara mamma per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che voi arrecherà. Oramai per me è finito tutto ciò che rimane al mondo sia di dolore o di piacere, di morire non mi importa gran cosa, della mia azione mi pento perché proprio io che ho voluto sempre bene al mio Paese debbo oggi essere riconosciuto come un traditore. Eppure io in coscienza non penso così.”
    (Archivio INSMLI - Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia. Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana, in www.italia.liberazione.it ), riportata anche da Alessandro Affortunati, “Di morire non mi importa gran cosa” - Fortunato Picchi e l’Operazione “Colossus”, Comune di Carmignano – Pentalinea, Prato, 2004.)
     
    Le ultime parole della lettera, dopo l’addio alla famiglia, sono "Viva l’Italia”.
     
    Anche dal punto di vista di Fortunato Picchi, l’azione sul ponte Tragino non resta senza effetti. E’ stata l’occasione che la sorte gli ha offerto: come un eroe risorgimentale, ha dimostrato ai suoi compatrioti di saper morire per le sue idee (Nota 5).
    Ben presto gli italiani prenderanno coscienza della verità.
    Il regime è tutt’altro che invulnerabile, l’Italia non è assolutamente la superpotenza militare che Mussolini accreditava. Ed infine la guerra, l’ultima sporca faccenda che la dittatura fascista ha messo in piedi, sarebbe finita molto male.
     
     
    Burocrazia postfascista e articoli di giornale
     
    Nel 1946 la madre di Fortunato chiede che le autorità riconoscano la qualifica di patriota o partigiano per il figlio. Fino al 1945 l’intera famiglia è stata sottoposta a vessazioni dal regime fascista: tre dei suoi figli sono stati privati del lavoro, un altro costretto a partire volontario per il fronte russo per lavare il disonore; un altro ancora deportato nel lager di Mauthausen nel 1944, perché segnalato ai tedeschi come fratello di un traditore da un suo conoscente aderente alla repubblica di Salò. La madre di Fortunato scopre presto che per gli uffici competenti mancano i requisiti per accogliere la domanda. Quindi la pratica è trasmessa a Roma, ad altri  uffici competenti. Dopo oltre un anno arriva il responso definitivo, che è negativo:

     

    “non risulta(va) dagli atti inviati che il suddetto a(vesse) svolto una continuativa attività politica contro il nazifascismo. Egli – proseguiva la lettera – avendo tentato degli atti di sabotaggio nei primi anni della guerra come paracadutista dell’esercito inglese, non potrebbe considerarsi che come militare combattente al servizio dell’esercito suddetto.”
    (atti citati da Alessandro Affortunati, “Di morire non mi importa gran cosa” Fortunato Picchi e l’Operazione “Colossus”, Comune di Carmignano – Pentalinea, Prato, 2004.)
     
    L’ottusità burocratica, quintessenza di tutti i regimi, è sopravvissuta indenne alla caduta del fascismo. La madre di Fortunato Picchi morirà nel 1954, senza ricevere dall’Italia democratica e repubblicana alcun concreto segno di riconoscimento alla memoria di suo figlio. Per di più, nel 1949 sulla stampa italiana appare un articolo che delinea la figura di Fortunato Picchi insinuando un margine di dubbio: era un traditore oppure un eroe? I giornali inglesi, le pubblicazioni degli italiani antifascisti rifugiati in Inghilterra, alcuni giornali italiani hanno più volte stampato articoli su Picchi, ma mai prima in questi termini. E tuttavia non si registrano repliche in Italia. Fortunato Picchi non risulta come aderente ad alcun partito o formazione politica, così nessuno interviene. Risponde solo da Londra il deputato inglese Ivor Thomas, un ex ufficiale che ha conosciuto gli ambienti antifascisti inglesi, il quale scrive ai giornali una lettera vibrante che deplora l’equilibrismo dell’articolo e definisce Fortunato Picchi, semplicemente, "un eroe che amava la sua patria e sacrificò la sua vita per liberarla dalla tirannide del fascismo". E’ questa la chiara e semplice sostanza delle cose, esattamente ciò che non ha voluto dichiarare la burocrazia italiana.
    Dopo questo episodio, per lunghi decenni non si parlerà più in Italia di Fortunato Picchi, il tranquillo antifascista che ebbe in verità molti torti. Il torto di schierarsi contro il regime fascista troppo precocemente rispetto a gran parte del popolo italiano, il quale si troverà di fronte a questa scelta drammatica solo dopo l’8 settembre 1943. Il torto di non limitarsi ad un antifascismo parolaio e di comodo, magari molto successivo al 1945. Il torto di non essere rimasto al sicuro in Inghilterra, ma di arruolarsi (a ben 44 anni) nei paracadutisti, accettando di partecipare ad una missione rischiosa. Il torto di aver maturato le sue scelte spontaneamente, senza militare in alcun partito interessato a rivendicarne la memoria.
    Infine, il torto di aver sacrificato la sua vita per una patria che troppo spesso dimentica e maltratta i propri eroi.
          

     
    Note
     
    (Nota 1) In occasione dell’Operation Colossus il Commando N° 2 delle Special Service Troops fu anche definito II Special Air Service. Il numero romano “II” (secondo) venne poi spesso letto come "11" (undicesimo). Inoltre, la denominazione Special Air Service (SAS) fu anche usata dai famosi Commandos che compivano sabotaggi in Nordafrica, per dare l’impressione al nemico che si trattasse di paracadutisti. Talvolta accade, perciò, che si parli dell’11 battaglione paracadutisti del SAS (Special Air Service).
     
    I nomi dei componenti del gruppo incaricato dell’azione di Ponte Tragino (foto sopra) sono i seguenti:
    Major T.A.G Pritchard DSO MBE, Captain Christopher Lea, Captain G. Daly, Lieut. Anthony Deane-Drummond, Second Lieut. G Paterson, Second Lieut. G Jowett, Flight Lieut. Lucky, Sgt. P.P."Clem" Clements, Sgt. Arthur L. Lawley, Sgt. E.W. Durie, Sgt. J. Walker, Cpl. Philip "Pop" Julian, Cpl. J.E. Grice, Cpl. P. O'Brien, Cpl. D. Fletcher, L/Cpl. R.B. Watson, L/Cpl. H. Boulter, L/Cpl. Doug E. Jones, L/Cpl. Harry "Lucky" Pexton, L/Cpl. H. Tomlin, L/Cpl. J.E. Maher, L/Cpl. D. Henderson, Tpr. J."Nicky" Nastri, Tpr. Alan Bruce Ross, Tpr. E. Samuels, Tpr. E. Humphreys, Tpr. F. Picchi, Tpr. James Parker MM, Tpr. D.L. Struthers, Tpr. G. Pryor, Tpr. D.J. Phillips, Tpr. J.W. Crawford, Tpr. R. Davidson, Tpr. A Parker,
    così come indicati da
     
     
    Ulteriori fonti sull’azione militare:
    http://chesiremagazine.com/articles52000/tragino.html
    http://www.britishairborne.org/historywar.html
    http://www.army.mod.uk/para/early_operations
    http://www.geocities.com.pentagon/barracks/5630/abrief.html

     

    Il maggiore T.A.G. Pritchard sarà liberato alla fine della guerra dal lager tedesco di Barth in cui è tenuto prigioniero, come dimostrano alcune foto e notizie reperibili in:
    www.merkki.com/russian.htm .
    Nella foto a lato il maggiore Pritchard è il secondo da sinistra, con altri ufficiali russi, inglesi, polacchi, dopo la liberazione.
     
     
    (Nota 2)  Alcuni degli uomini del Maggiore Pritchard non si rassegnano alla prigionia nel campo di Sulmona, dove sono stati inviati. Anthony Deane-Drummond, alla sua seconda evasione nel maggio 1942, riesce a fuggire dall’Italia e raggiunge l'Inghilterra. Catturato dai tedeschi nella battaglia di Arnhem, riesce a scappare ancora. Nella sua carriera raggiungerà il grado di Maggior Generale, e nel 1953 scriverà un libro sulle sue vicissitudini dal titolo “Return Ticket”.
     
    (Nota 3) In vari numeri dei mesi di luglio, agosto, novembre del 1928, la rivista inglese Engineering di Londra pubblicava  corposi articoli sull’Acquedotto Pugliese. Trattandosi di una rivista tecnica, gli aspetti tecnici dell'opera venivano analiticamente descritti offrendo dati, grafici e disegni tecnici dei progetti di ponti, canali, sezioni, gallerie. In definitiva, per l’estrema precisione scientifica, questi scritti  potevano essere riutilizzati in tempo di guerra, magari reintitolandoli “Il perfetto manuale tecnico per il sabotaggio dell’Acquedotto Pugliese”. Di seguito, dalla rivista Engineering: il Ponte Tragino in costruzione (fig. 51) e, in dettaglio, sezione del ponte Tragino  con diciture in lingua inglese (fig. 54).
     
    (Nota 4) “…il Tsds è uno dei frutti delle “leggi speciali”, che trasformano in senso autoritario il sistema liberale uscito dal Risorgimento. Abolita gradualmente ogni forma di opposizione e rafforzati i poteri del capo del governo, il fascismo dà vita ad un proprio organo giudicante: il Tsds, un tribunale svincolato dalla magistratura ordinaria, che può condannare a morte e che giudica i reati compiuti contro le persone del sovrano e del capo del governo e contro l’integrità dello stato. Il Tsds sottoporrà a procedimento oltre tremila persone fino all’8 settembre 1943. Uno solo per reati comuni. La stampa di regime, occupandosi dei processi, sottolinea un clima di costante congiura nei confronti del capo del governo e del fascismo ormai vittorioso, che ha origine e alimentazione fuori d’Italia. Il richiamo a nemici esterni è un invito alla popolazione a stringersi  attorno alle “nuove” istituzioni in un “nuovo” sistema politico. Nuovo sistema che prevede, per i nemici dello stato, la massima punizione…
    Dal 1932 al 1945 Forte Bravetta fu il luogo deputato per le esecuzioni capitali a Roma. Vi furono eseguite 115 condanne a morte, mediante fucilazione alla schiena. Fino all’8 settembre 1943 le sentenze risultano emesse, in prevalenza, dal Tsds (Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato), il “tribunale Mussolini”, dotato di poteri eccezionali, che giudica secondo procedure sommarie mutuate dal codice di procedura penale militare attraverso collegi giudicanti composti, in massima parte, da ufficiali della MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale). Agli stessi “militi” sono di norma affidate le esecuzioni..”
    Augusto Pompeo (a cura di) Forte Bravetta 1932 – 1945 Storie Memorie Territorio, da Archivio storico culturale della XVI Circoscrizione, Roma, 2000.
    (Nota 5)  Di recente la figura di Picchi è stata dettagliatamente analizzata da alcuni scritti, di cui questa trattazione è debitrice e ai quali si rimanda, raccomandandone la lettura per una esauriente trattazione della vicenda:
    ALESSANDRO aFFORTUNATI, “Di morire non mi importa gran cosa” Fortunato Picchi e l’Operazione “Colossus”, Comune di Carmignano – Pentalinea, Prato, 2004;
    cARLO oNOFRIO gORI, Vita e morte di un “traditore”: Fortunato Picchi. Un antifascista pratese per lungo tempo dimenticato, in Patria Indipendente, N. 03/07, Roma, 11 marzo 2007. I testi di Carlo Onofrio Gori sono reperibili anche in formato elettronico su:
    http://historiablogori.splinder.com/archive/2007-11
    http://www.anpi.it/patria_2007/003/33-36_GORI.pdf
    Inoltre:
    www.italialiberazione.it INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia). Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana.

     

     
    Si ringraziano:
    Antonio Motolese, per le preziose informazioni sulle riparazioni effettuate al ponte Tragino dopo l’incursione;
    Antonio Bavusi, per tutto quanto riguarda la ricerca e la documentazione storica riguardante l’Acquedotto Pugliese.
    Giuseppe Rivarosa, Comandante della Stazione del CFS di San Fele, per l’assistenza fornita sia nella fase di acquisizione di documentazione storica, sia durante i sopralluoghi effettuati nella zona di ponte Tragino. Ulteriori ringraziamenti a Vincenzo Sperduto e, per le informazioni generali sull'area, al Comandante CFS di Pescopagano  Donato Girardi.
      
    Giovanni Marino info@giovannimarino.it     Pasquale Libutti   rapacidiurni@gmail.it     

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